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Festival Internazionale del Jazz
Edizione 1993

La storia del Pescara Jazz

Pescara Jazz 1993

Il Jazz nacque, ottanta anni fa, a New Orleans. Questa verità, semplice e universalmente condivisa, può in effetti non risultare totalmente credibile sul piano strettamente scientifico. Eppure nell’immaginario collettivo il jazz è nato a New Orleans, in uno scenario esotico e pittoresco, nei bordelli e tra bande che suonano marciando per le strade di una città, quella che si affaccia sul delta del Mississippi, in cui convivevano francesi, inglesi, spagnoli, neri afroamericani, cubani, creoli. Tra le musiche da cui sorse il jazz vi era quella, popolarissima, delle brass bands, ovvero delle bande di ottoni della comunità nera che marciavano e suonavano in occasione di picnic, feste, celebrazioni e soprattutto funerali. Quella tradizione è rimasta ancora viva a New Orleans e la ventunesima edizione del festival del jazz di Pescara si apre proprio con alcune esibizioni in strada di una delle più famose bande di New Orleans, la Olympia Brass Band, nata nel 1961 sull’onda di un revival che non pare conoscere crisi. Naturalmente ora l’influenza del jazz sul repertorio da banda è più sensibile, ma spirituals, inni e canzoni di successo sono ancora alla base di questa splendida musica. Pescara Jazz è naturalmente orientata a documentare la scena del jazz contemporaneo, soprattutto americano. Ciò non impedisce al festival di fare, come d’abitudine, anche da vetrina ai talenti emersi in Abruzzo in anni recenti.

Quest’anno ad aprire la prima serata tocca al trio di Carlo Morena, un pianista di Pescara che alcuni anni fa, dopo essersi formato in zona, ha deciso di andare a vivere e lavorare in Spagna. Qui si è guadagnato una certa notorietà, insegnando e suonando in diversi club e accompagnando in tournée prestigiosi musicisti americani. Morena suona nella corrente principale del pianismo jazz contemporaneo, con un’attenzione particolare per McCoy e Richie Beirach e con un gusto armonico personale. La prima serata continua con il trio del chitarrista Bill Frisell (Baltimora, Maryland, 1951), forte di Kermit Driscoll e Joey Baron. Frisell è senz’altro una delle personalità più forti e visionarie del jazz contemporaneo. Come compositore attinge a tutta la tradizione musicale americana, da Charles Ives a Aaron Copland, dal country & western al jazz, dal rock all’avanguardia bianca newyorkese. La sua è musica della memoria, un viaggio in un universo policulturale in cui la violenza espressionista è attraversata da ondate di struggente lirismo. Come chitarrista, Frisell ha letteralmente rivoluzionato l’approccio allo strumento, facendo del suono anziché del fraseggio l’epicentro del suo discorso poetico. Perché la musica che segue non venga sentita “tradizionale” in confronto a quella di Frisell, bisogna ricordarsi che il trombonista J.J. Johnson (Indianapolis, Indiana 1924) fece egli stesso quasi cinquant’anni fa, al fianco di Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Bud Powell, la sua rivoluzione musicale: la musica moderna allora si chiamava bebop, che è rimasto uno degli stili più longevi della storia del jazz. Johnson fece la sua parte capovolgendo l’immagine dello strumento, che nelle sue mani acquistò un suono pieno e rotondo, caldo e centrato, un fraseggio fluido e continuo, un’incisività ritmica prima sconosciuta, influenzando un numero incalcolabile di strumentisti a lui successivi. Ora è uno dei pochi sopravvissuti di quella mitica stagione, ma la sua musica è ancora viva e infatti gode dell’apporto di alcuni tra i migliori giovani solisti americani, come Renee Rosnes e Ralph Moore (oltre che del veterano Rufus Reid).

Per la seconda serata Pescara Jazz ospita quella che è forse la più grande cantante jazz oggi in circolazione, Helen Merrill (New York, 1930). Voce perlacea, come di vetro soffiato, chiarezza di dizione, rigore interpretativo, modulazione della dinamica e controllo assoluto dei pesi sonori, senso ritmico pulsante e profondo, sono tutti aspetti stilistici che Helen Merrill combina in una dimensione poetica interiorizzata, come sospesa. Ad integrarsi con lei sono l’inglese Gordon Beck, suo sensibile e collaudato accompagnatore, e Lee Konitz che ci mette di suo un lirismo tagliente ed obliquo. Sul versante dell’esuberanza, si muove invece il quartetto di Chick Corea (Chelsea, Massachusetts, 1941). Protagonista del pianismo jazz da oltre trent’anni, Corea ha attraversato i territori musicali più disparati, dal free di Anthony Braxton ai trii sperimentali dei primi anni Settanta, dal jazz acustico del quartetto di Stan Getz al jazz-rock dei Return To Forever. Musicista votato all’eclettismo e alla contaminazione, Corea è capace di passare con disinvoltura dalle esecuzioni di musica classica alle tastiere elettroniche, anche se il virtuosismo e l’eterogeneità dell’ispirazione rischiano di soffocare o disperdere la musica. Ma esiste in lui anche un lucidissimo, invidiabile controllo esecutivo che ne fa un solista dalle possibilità illimitate, che richiede interlocutori della stessa pervadente presenza quali i suoi due attuali compagni, i “supervirtuosi” Bob Berg e John Patitucci, quest’ultimo una sua scoperta.

La terza serata sarà aperta da Elvin Jones (Pontiac, Michigan 1927) con la sua inossidabile Jazz Machine. Elvin Jones, non c’è bisogno di ricordarlo, fu negli anni Sessanta il batterista del quartetto di John Coltrane e in quel ruolo rivoluzionò (ecco un altro innovatore…) il linguaggio della batteria, imponendo uno stile, oggi assimilato da tutti i batteristi contemporanei, basato sulla costante suddivisione dei tempi in linea con la poliritmia africana. La musica del quintetto, che in questa nuova edizione presenta tutti giovani musicisti sconosciuti, si muove sui binari dell’ortodossia coltraniana, ma è ravvivata da un impeto esecutivo infuocato e dalla inesausta spinta ritmica del batterista. Gran finale con i popolarissimi Manhattan Transfer. Questo quartetto vocale ha ormai più di vent’anni di vita, ma solo negli anni Ottanta, sull’onda del revival del Jazz vocale, è riuscito a conquistare le platee di tutto il mondo. Il repertorio è eclettico: si passa con disinvoltura dal jazz (in particolare dal vocalese, in cui si aggiunge un testo ad un pezzo strumentale preesistente) alla fusion al rock al pop. L’abilità e la professionalità con cui è condotto lo spettacolo riescono a coprire una certa freddezza e mancanza di sincerità espressiva, ma il divertimento è assicurato. Come si conviene alla fine di un festival in una bella sera d’estate.

Stefano Zenni

Pescara Jazz 93

23 LUGLIO
CARLO MORENA TRIO
BILL FRISELL BAND
JAY JAY JOHNSON QUINTET
24 LUGLIO
HELEN MERRILL PROJECT
CHICK COREA QUARTET
25 LUGLIO
ELVIN JONES JAZZ MACHINE
MANHATTAN TRANSFER

Gallery Pescara Jazz 1993